SAPONARA


La denominazione di Saponara, antica "Saponaria" o "Sapunara", deriverebbe secondo alcuni dal nome di un�erbaccia perenne: la Saponaria Officinalis, dai fiori bianco-rosati, tipica dei terreni incolti e freschi e dei bordi dei fossi della zona sub-montana, pianta che cresce spontanea nel greto montano della fiumara di Saponara; oppure come sostiene invece il geografo Domenico Trischitta dal termine �Sapunara": creta saponacea, terra grassa e untuosa, tipica del territorio.

Il paese si adagia a 160 metri s.l.m., diviso in due insediamenti, sulle sponde del torrente Cardà, su un conoide di deiezione determinato dalla confluenza nello stesso punto del torrente Perarella, dove anticamente il guado della fiumara Saponara, in regime di piena invernale, era più facile perché la vallata si allargava.

Il castello, di cui rimangono solo i ruderi, si trovava invece sulla collina, da cui poteva dominare tutta la valle fluviale, nonché tenere a vista il golfo di Milazzo con l�omonima penisola, e, all�orizzonte, le isole Eolie.

Il territorio di Saponara, dopo aver ottenuto nel 1952 l�autonomia da Villafranca, si estende per 26 km2 dal mar tirreno al monte Dinnamare con i seguenti confini: a nord il Tirreno, a sud il comune di Messina, a est Villafranca Tirrena (antica Bauso) e ad ovest Rometta (antica Rametta).

Lungo la S.P. 53, che sinuosamente segue a mezzacosta l�andamento della fiumara, sono ubicate le frazioni di Scarcelli e Cavalieri, mentre quella di San Pietro sorge sulla sponda sinistra dello stesso torrente.

Il centro è di chiara origine medievale, lo testimoniano i resti del poderoso castello che dalla rocca continuano a dominare quello che rimane del contado.

La documentazione è scarsa, ma da quella esistente sappiamo che quale dote maritale, concessione, privilegio, lascito, investitura, baronia, ducato Saponara, dal 1353 al 1804, fu possesso delle più nobili famiglie siciliane che avevano ingerenza politica nella Val Demone, del cui comprensorio faceva parte.

Sappiamo da Vito Amico (1778) che il paese venne insignito del titolo di ducato nell�anno 1650 per privilegio di re Carlo, e che era situato in una valle amena piantata ad alberi fruttiferi, che a metà �700 era sovrastato da un castello già in rovina mentre era "elegante e magnifico" il palazzo baronale nel cui atrio sgorgavano "perenni fonti di acque".

L�ultimo duca di Saponara fu Giuseppe Alliata Moncada che ottenne l�investitura nel 1805 e la la mantenne fino al 1825, anno in cui la cittadina divenne comune autonomo assieme a Villafranca, con la denominazione di Saponara-Villafranca.

Unita al territorio di Bauso e Calvaruso nel 1929 forma un unico comune: Villafranca Tirrena. E nel 1952 ottiene l�autonomia.

Oltre ai ruderi del castello dislocati sulla rocca a 361 metri s.l.m., e a quelli della chiesa dedicata a 5. Antonio da Padova, costruita accanto sullo stesso luogo dai preti di S. Filippo Neri, quale memoria del passato c�è quello che rimane del palazzo Baronale di cui parla l�Amico, e che non fu più ricostruito completamente dopo i danni subiti dalla disastrosa alluvione del 1863 e dal terremoto del 1908.

Quest�ultimo evento fu rovinoso anche per la chiesa Madre, che si erge in piazza Municipio nella parte est del paese e che veniva così descritta da V. Amico nel 1778:

sorge con doppio ordine di colonne, sontuosa nel campanile, gli organi, gli altari, la suppellettile, con decentissimo culto per le cose divine.

La sua ricostruzione si protrasse a lungo nel tempo, con gravi danni ai capitelli delle colonne completamente sfregiati, mentre la torre campanaria, quadrangolare e merlata, sicuramente in origine era molto più svettante e doveva terminare con una copertura a cuspide.

All�interno rimangono, nell�abside centrale, due affreschi di Joseph Cristodoro, cancellati nella parte inferiore dall�umidità e delimitati da stucchi di epoca barocca.

Del �700 è la "macchina" lignea, in oro zecchino, con al centro la Madonna del Rosario, situata nell�abside di destra, mentre nell�abside di sinistra due colonne sorreggono un timpano settecentesco con una tela raffigurante S. Nicolò, patrono di Saponara.

Nelle navate sono collocati otto altari con rivestimento in tarsie di marmo; oltre a due acquasantiere settecentesche, ad una fonte battesimale di pregevole fattura, ci sono poi due tombe gentilizie, due paliotti sempre settecenteschi, e alcuni pregevoli paramenti sacri.

Al di là dell�antico guado si snoda a ridosso di possenti bastioni, rafforzati da contrafforti, l�altra parte del paese con la fontana del "Bottesco", datata 1670.

E� il "Buttiscu", che l�italianizzazione dell�antico toponimo ha trasformato in "Bottesco", un lavatoio pubblico alimentato da otto getti d�acqua.

L�etimo rimanda all�antico sistema di captazione di resorgive; là, dove l�acqua affiorava, si procedeva con lo scavare un tunnel di ampiezza tale da consentire ad un uomo di maneggiare piccone e badile per i lavori di sterramento.

Per prevenire frane, smottamenti e crolli, con il procedere dello scavo, la volta e le pareti venivano puntellate con assi connesse in modo tale da richiamare le doghe delle botti donde, per l�identificazione strutturale, la denominazione di "Buttiscu", simile alla botte.

Da secoli quell�acqua, conurbata a valle dal più esteso bacino imbrifero dei Peloritani, viene generosamente erogata dalla madre terra e generazioni di donne si sono succedute alle pietre del lavatoio per assolvere alla gravosa incombenza di fare il bucato.

Questo ci dice la traduzione della iscrizione latina, posta sulla fontana dopo una ristrutturazione del 1670: "J singoli elementi, che renderebbero celeberrima qualsiasi fonte, defluiscono tutti insieme da questa sola ed offrono delizia e ristoro ai nativi ed ai forestieri 1670 anno della ristrutturazione".

L�ultima frase fa pensare che lì già prima esistesse una fontana, magari più semplice.

In contrada Scarcelli ci sono i ruderi della chiesa di S. Antonio di Padova; la chiesa è privata e anticamente era aperta al culto solo durante la festa del Santo patrono.

Non si sa esattamente l�anno di costruzione ditale edificio, né si conosce la data di inizio delle celebrazioni religiose, però è certo che già nel �700 era il punto di riferimento del culto cristiano per gli abitanti della frazione.

L�edificio, oggi in stato di abbandono, è un esempio di edilizia rurale di quel periodo. Il prospetto semplice, con una rudimentale porta ed una spoglia finestra, è movimentato da un mosso timpano arricchito da pinnacoli e volute che incorniciano il campanile a vela. L�interno è a navata unica con abside semicircolare e due altari laterali, il soffitto a travi coperte con mensole, il pavimento in cotto. Nell�abside ci sono sobri stucchi ed una coppia di puttini di sapore dialettale.

A primavera inoltrata nella vegetazione del greto montano della fiumara, la Saponaria officinalis costituisce una macchia di colore che le donne saponaresi tengono d�occhio, perché fedeli alla tradizione. alla fine dell�estate, continuano a raccoglierne e sradicarne le piante.

Il rizoma e le radici contengono infatti saponina, ottima per lavare stoffe e sgrassare lane. Ancora oggi, nel linguaggio parlato, specie delle persone più anziane, i detersivi vengono genericamente definiti "Saponina", perché come la radice della pianta, sciolti in acqua, producono schiuma e sgrassano, ma, al contrario della Saponaria, inquinano.

Si ricorda inoltre che i fiori della saponaria trovano applicazione nella cura delle malattie della pelle, sotto forma di decotti, tisane e creme.

 Saponara immagini

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