ATTIVITÀ SCOMPARSE
IL "CARRETTIERE": A Monforte
(S. Media "G. Lo Gullo")
È stato ricostruito il mondo dei carrettieri attraverso il racconto orale e i ricordi di uno degli ultimi anziani del Paese che in gioventù aveva svolto tale attività.
"Nella prima metà del Novecento il principale mezzo di trasporto, principalmente nel Meridione, era il carretto: veicolo a due ruote unite da un’asse e con sponde alte per il trasporto di roba. Poteva essere trainato da muli o asini, raramente da cavalli.
Il conducente del carretto si chiamava carrettiere. Dei circa ottanta "carritteri" che c’erano a Monforte nei primi anni ‘50, molti sono ormai scomparsi ma noi, della I F della S. M., siamo riusciti a rintracciare Cosimo Polito, che ci ha gentilmente fornito numerose notizie sulla vita che conducevano i carrettieri.
Egli ci ha innanzi tutto spiegato la differenza fra "burdunari" e "carritteri". Il burdunaru o "mulattieri" era il conducente del mulo. Egli si recava in campagna per prendere le merci e portarle al paese. Diversi erano i nomi dei contenitori usati per il trasporto a dorso di mulo dei vari prodotti. Generalmente i cereali erano contenuti in bisacce o "coffe"; il mosto in "otri" ; l’olio in "scupini" , il vino nei barili di legno. Il carrettiere, invece, usava per il trasporto delle merci, il carretto.
Il carrettiere monfortese, per raggiungere i mercati di Messina, partiva dal paese alle ore 15.00. Lungo il tragitto, verso le ore 21.00 si fermava in contrada Locanda presso Gesso (Messina), dove "o funnucu da zza Filifia" oppure "o funnucu du zzu Puddu cabbunaru" consumava un modesto spuntino accompagnato da abbondante vino e nello stesso tempo, faceva riposare l’animale che mangiava biada e crusca.
Da qui ripartiva verso le ore 24.00 per raggiungere i mercati messinesi alle prime ore della mattina. Normalmente i carrettieri tasportavano per conto proprio o per conto terzi, olio, vino, formaggio, frutta, fichi secchi, legna, carbone, radici di erica (trummi ), oppure materiale edilizio come sabbia o calce.
Le merci erano trattenute sul carretto da una fune con cui si eseguiva, nella parte terminale, il "nodu alla catanisa" , sistema che impediva alle merci trasportate di cadere durante il tragitto su strade spesso sterrate e sconnesse.
Il carrettiere era di solito un uomo giovane, forte e coraggioso. Egli amava e rispettava il proprio animale a cui ogni giorno lavava le orecchie, la bocca e le foghe, gli occhi, avendo cura di usare pezze diverse; indossava un vestito di velluto a righe con perfilo di velluto liscio.
Il pantalone aveva preferibilmente tasche anteriori, il gilet almeno quattro taschini all’esterno e un’ampia tasca interna per custodire il portafoglio.
Le scarpe erano pesanti e chiodate, si coprivano il capo con la coppola e portavano al collo un fazzoletto annodato in modo particolare."
(da "la Catabba" - Centro Studi di Monforte)
Del carretto monfortese non esiste nessun esemplare intero, ma solamente qualche parte. Esaurito il suo compito, del carretto siciliano, istoriato con intarsi e pitture multicolori, con scene dei paladini di Francia, o scene d’amore e di gelosia della "Cavalleria Rusticana", o scene della Bibbia, resta solo il folklore per le parate e le feste.
IL CARRETTO SICILIANO
"Ecco la carretta che è tanta ragione di curiosità pei non Siciliani che vengono in Sicilia.
Questa carretta, di ordinaria grandezza, è di quelle alle quali si attacca un cavallo, o un mulo, o un somaro; e serve per trasporto di checchessia: vino, zolfo, carbone, paglia, sommacco, verdure, pietre, sabbia, calce, mattoni e perfino spazzatura. S’intende bene che serve anche a trasporto di persone per feste ed altro.
La carretta si compone della cascìa,, cassa, delle ruote e delle aste, che sono piantate tra l’una e le altre. Lavorano successivamente alla fabbricazione e pitturazione della carretta: il carruzzeri, che la fabbrica di tutto punto; lo ‘nnuraturi , l’indoratore, che la colora tutta in giallo, e ne prepara gli scompartimenti e gli ornati più comuni; ed il pitturi,, che dipinge nei masciddara, le spallette laterali, quattro scene di una sola storia che a lui piaccia o si domandi, e le figure più importanti ed intenzionalmente più artistiche di tutta la carretta.
Basta gettare gli occhi sopra uno di questi veicoli per accorgersi che non v’è spazio, per quanto piccolo, che non venga dipinto o figurato coi colori più vivi e più smaglianti. Dalle teste che sormontano i barruna , cioè le otto sbarre verticali che stanno in giro alla cassa, dalle estremità delle aste, o timoni, alle quali si attacca (si ‘mpaia ) l’animale, alle curvi, curve, ai gammozzi , assi, al mijòlu , centro delle ruote, è una profusione straordinaria di figure, di ornati, di disegni da non potersi descrivere."
da "Cento Sicilie" di G. Bufalino
"Come mezzo di trasporto il carretto è legato, soprattutto, alla civiltà contadina. Ma esso chiama in causa, anche una vivace e fiorente civiltà della bottega.
La sua fabbricazione e decorazione – si pensi ai bassorilievi scolpiti in legno, agli ornamenti in ferro battuto, alle immagini dipinte, che lo facevano assomigliare ad una specie di libro aperto, ispirate alle vite dei santi, a episodi leggendari o storici o di cronaca diffusi dai cantastorie, a motivi dell’epopea carolingia passata nell’ "opera dei pupi" – presupponevano, infatti, doti non comuni di abilità manuale, di artigianato sapiente ed estroso in grado di mettere a frutto varie sollecitazioni culturali."
(da "Cento Sicilie" di Bufalio)
Spesso i carrettieri, in viaggio o in occasioni particolari, cantavano delle canzoni.
Il testo che segue è di Orazio Strano e si intitola "u carritteri".
U CARRITTERI
(di Orazio Strano)
Vogghiu ludari cu li me canzuni
la terra mia ca vogghiu tantu beni.
L’omini forti comu li liuni,
li donni beddi comu li sireni.
E dopu e genti da Sicilia magari
lu suli d’oru, lu celu e lu mari.
Pi prima cosa vi vogghiu parrari
di lu carrettu e di lu carritteri.
Parti di notti e si metti a cantaRi
canzuni beddi di centu maneri.
Carrettu e sunagghiera a ddu mumentu
ci fannu ad iddu d’accumpagnamentu.
Carrettu beddu miu sicilianu
di la Sicilia sì l’oru zicchinu.
Lu mastru ca ti fici cu ddi manu
lu sintimentu ddo è troppu finu,
e lu pitturi ca t’a pitturau
lu sangu di li vini ci mmattau.
Eeeh... cavaddu sicilianu!
L’armiciaru chi poi ti studiau
vidennu lu carrettu ca niscìu
un pau d’armigi doppu ci ‘mpaiau
u cavaddu ca pi tantu nni curria
c’un omu supra ca parìa un pileri
unni poi fu chiamatu carritteri.
E fu na cosa granni du misteri
ca fici a tutti tantu "ntusiasmari.
E a manu a manu ‘nte festi e ‘nte feri
carretti si videvanu arrivari
di li paisi vicini e luntani
carricati di fimmini bagiani.
Il santo protettore dei carrettieri è San Biagio, egli veniva festeggiato con lo sparo di numerosi mortaretti. Ancora oggi, il culto di San Biagio è molto sentito poiché, nella tradizione popolare, è il santo protettore della gola.
A Monforte il tre di febbraio, alle quattro del mattino, due "tamburinari" girano per il paese suonando continuamente i loro tamburi.
Secondo un’antica tradizione, il suono prolungato dei tamburi serve a scacciare i demoni annidati nelle buie vie del paese e protegge gli uomini e gli animali dal sempre possibile soffocamento.
PREGHIERA A SAN BRASI
Su San Brasi prutitturi
di la ula e cannarozzu
Grazi fazzu quannu pozzu
a cu prega cu firvuri.
Su San Brasi prutitturi
di li staddi e bivarizzi;
scansu puru i ffuarizzi
a cu javi fidi e amuri.
Su San Brasi prutitturi
di cu fa li vucalizzi
ma si chiovi o si fa brizzi
s’à vaddari di fridduri
suggnu si lu prutitturi
grazi fazzu ... non favuri.
La Costruzione dei carretti siciliani, calessi, carriole, etc. a Milazzo
(S. Media "L. Rizzo" / III E)
La bottega dei fratelli Rizzo esisteva una volta presso la stazione vecchia di Milazzo, secondo le notizie fornite da Salvatore Otera (70 anni), ex lavoratore presso di loro.
Vi si fabbricavano svariati oggetti; avevano iniziato con la fabbricazione delle botti e ampliato poi con quella dei veicoli a ruote.
Il ciclo di produzione dei veicoli, tutti in legno, era collegato con quello della lavorazione dei materiali ferrosi: assi, randole, bulloni, dadi, viti, staffe, cerchi e cerchioni che costituivano gli elementi fondamentali per la fabbricazione di qualsiasi mezzo di trasporto.
Le botti venivano costruite con doghe di legno di castagno o di rovere e messe insieme con cerchi di metallo;
i carretti siciliani venivano fatti interamente in legno unito ad incastro con bulloni passanti; le ruote, pure tutte in legno, presentavano un rivestimento metallico all’esterno e sul mozzo. Venivano usati per il trasporto delle merci;
i carri erano grandi mezzi da trasporto usati soprattutto al porto per le operazioni di carico/scarico delle merci;
le carrozzelle, a due ruote e con una base d’appoggio, servivano invece per la vendita ambulante di frutta, verdura e per prodotti della casa;
le carriole, interamente in legno , venivano usate dai muratori per il trasporto di sabbia, malta e mattoni.
Gli strumenti impiegati per la costruzione erano la sega, la chiave per la randola, il trapano a petto, la pialla, la squadra; non venivano usati altri macchinari:
La sega = interamente in legno con una lama dentata d’acciaio da un lato ed una cordicella per tenere in tensione la lama, dall’altra;
la chiave per la randola = strumento d’acciaio con cui si stringeva la randola (ossia il dado) con cui si fissava la ruota all’asse del carro;
trapano a petto = serviva a praticare i fori passanti nel legno;
pialla = attrezzo ancora in uso presso i falegnami, ma allora era l’unico strumento per rendere liscia la superficie delle tavole;
squadra = usata per la squadratura delle tavole e dei piani.
La raccolta e la lavorazione del Gelsomino
(Scuola Elementare di Parco Vecchio / classi I, II, III, IV e V)
Le notizie sono state raccolte presso donne anziane che in gioventù avevano svolto tale attività nella piana di Milazzo, con indagini particolari nella zona di Parco Vecchio.
La conduzione delle aziende era gestita da privati, e vi lavoravano circa 2.000 gelsominaie, suddivise in 12 aziende diverse. La raccolta veniva effettuata fino agli anni ‘50 esclusivamente da donne e bambini, ma in seguito a contestazioni sindacali, il lavoro minorile venne proibito.
Le gelsominaie erano lavoratrici stagionali: la loro opera iniziava nelle prime notti di giugno e terminava alla fine di settembre.
Il prodotto finito, ottenuto con la lavorazione del gelsomino, era la "concreta", una pasta giallognola che veniva esportata in Francia e Inghilterra per la produzione dei profumi.
IL GELSOMINO E LA "PIANA"
E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
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Per tutta la notte si esala
l’odore che passa col vento.
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È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che di felicità nuova.
(Dal "Gelsomino notturno" di Giovanni Pascoli)
"Oriente da "Mille e una notte", gemme e vesti di sfarzo barbarico, bellezze celate, giardini segreti, notti stellate piene di profumi inebrianti. ..... Di vero però c’è il gelsomino, venutoci dalla Persia..."
(Da "L’olivo e l’olivastro" di Giovanni Consolo)
"Senza essere volubile si arrampica sulle muraglie con lunghi sarmenti legnosi....., le foglie opposte si compongono di cinque o sette foglioline acute, decidue, e i fiori corimbi sono formati da un lungo tubo di cui diramano cinque lobi bianchi. Il loro profumo è così delicato che il gelsomino ..... si coltiva per l’estrazione dell’essenza.
Le distillerie della piana estraevano dal fiore l’essenza pregiata che esportavano per i profumieri d’Inghilterra e di Francia."
"A Milazzo doveva aspettare tanto tempo il treno che l’avrebbe riportato a casa. Girava allora per il paese, visitava il castello, ..... Vedeva dall’alto del promontorio la vasta piana irrigata dal Mela ricca di agrumi, ulivi, viti e orti.
Ricca di gelsomini. Tra sènie e gèbbie, sotto palme e cipressi, era il basso verde di quel fiore che all’apparire del sole schiudeva la corolla, liberava, spandeva il suo profumo di arancio e di nardo. Allora, nel crepuscolo mattutino, quando erba e foglie eran pregne di rugiada, schiere di donne avanzano tra le file dei cespugli, piegate, il grembiule a sacca, a staccare i boccioli delicati. Seguivan le bambine, come spogliatrici, a cogliere qua e là le residue gemme, assonnate, rosse le mani."
Canzone delle gelsominaie ("gelsominare"):
"Fimmini prestu ..... Cugghiemu cugghiemu
lu sciuri di gersumini
chi ‘namma
fari un letticeddu pi lu Bambinu!
Iancu è stu ciuri, morbidu, profumatu
e lu Bambinu cianci dispiratu .....
lu letticeddu spetta friscu e udurusu .....
Prestu carusi cugghiemu cugghiemu .....
Oh! oh! o lu gersuminu cà iè !!!"
La raccolta dei gelsomini si eseguiva a mano, raccogliendo ad uno ad uno i fiori sbocciati curando di non sciuparli. Essa avveniva di notte e fino alle prime ore del mattino; le donne ed i bambini sistemavano i fiori in ceste lavorate con listelli di canna ed olivastro che venivano caricate sui camion e portate alla fabbrica.
"Ricordo ancora il profumo che annunciava il passaggio del camion che trasportava i gelsomini"
(dai ricordi di una gelsominaia)
La fabbrica si trovava in via Tukory ed era di proprietà delle famiglie d’Amico, Bonaccorsi e Vece.
Qui i gelsomini venivano scaricati e messi a bagno nell’etere di petrolio. Cominciava così il processo per ottenere la "concreta".
Il processo per ottenere la "concreta".
L’estrazione consta di due fasi:
1 - l’esaurimento dei fiori a mezzo bagno di solvente: i fiori vengono posti in contatto con il solvente negli estrattori che possono essere statici o rotativi.
2 - la distillazione della soluzione, composta da solvente, essenza, cere, etc., al fine di recuperare il solvente stesso, reimpiegato nelle lavorazioni successive, e di ottenere infine la "essenza concreta". A questo fine la soluzione profumata viene passata ai concentratori nei quali la soluzione stessa viene privata di gran parte del solvente, che prima evapora, e poi viene condensato e raffreddato in appositi condensatori refrigeranti. Le ultime frazioni di solvente, dalla soluzione concreta, vengono eliminati da appositi evaporatori a pressione ridotta, al fine di evitare di dovere raggiungere temperature relativamente elevate che, danneggerebbero il prodotto. Il solvente recuperato, prima di essere reimpiegato in successive lavorazioni, viene purificato in appositi distillatori.
(Tratto da "Agricoltura messinese". Periodico mensile di tecnica e propaganda agraria)
"Tra i profumi di squisita fragranza elaborati dai fiori, quello di gelsomino tiene uno dei primissimi posti sin dai tempi molto antichi e le profumerie a base di olio essenziale di gelsomino sono state accolte in ogni epoca con molto favore tanto dalle profumerie orientali che da quelle dei Paesi modernamente civilizzati."
(Da "La distillazione delle erbe e fiori da essenza del prof. G. Salamone)
Un opificio ben attrezzato è costituito essenzialmente dai seguenti apparecchi:
– apparecchiature di estrazione con estrattori statici o rotativi e relativi condensatori-refrigeranti, concentratore, evaporatore a vuoto, serbatoi vari per soluzioni e solventi di recupero, pompe, ecc.
– caldaia a vapore per la produzione del vapore acqueo necessario al riscaldamento dell’apparecchiatura
– impianto per la produzione del vuoto occorrente per gli evaporatori del solvente
– impianto per la produzione del freddo necessario per la refrigerazione delle apparecchiature di condensazione e raffreddamento del solvente da recupero
– impianto a carbone attivo per il recupero del solvente residuo.
– residui per il deposito dell’etere di petrolio
– serbatoi per l’acqua necessaria all’opificio
(Da "Agricoltura Messinese")
"Voglio ancora ricordare una pagina importante delle lotte della Piana; la scrissero le gelsominaie, circa duemila, distribuite in 12 aziende (Livio a Ciantro, Gemelli a Ponte S. Pietro, Fratelli D’Amico a Parco, Crinò a Grazia, Sottile a Cacciola, Sorelle Bonaccorsi a Cacciola e a Casa Casazza, Flavio Bonaccorsi a Brigandì e a Torretta, Vece a Pezzagrande, Luigi Bonaccorsi a Torretta). A piedi, a partire da mezzanotte e fino al mattino, mi toccava girare per tutte queste aziende, fino a che, col primo sciopero vittorioso, le gelsominaie mi regalarono la prima bicicletta, una Dei, costata all’epoca 250 lire. il settore dei gelsomini era allora fiorente e perciò le aziende produttrici aumentarono: Cambria a S. Marina, Gemelli a Gronda, Fratelli D’Amico a Mangiavacca, Cattafi a Terme Vigliatore, e, in ultimo, la contessa Spadafora a Corriolo.
Il primo sciopero nel 1946 fu per il contratto. Le donne percepivano L. 25 al Kg. di fiore. Un Kg di gelsomino era costituita da oltre 6.000 fiori! Pensate 25 lire al Kg., quando un Kg. di pane costava già allora centinaia di lire. Queste donne lavoravano scalze ed erano perciò soggette all’anchilostomiasi, una brutta malattia; alcune di loro spesso svenivano. Il primo contrasto, dunque, porta il salario a 55 lire, ma i proprietari pagano 50, perché 5 lire se li tengono per la fine-raccolto, a novembre.
Nel 1947 abbiamo lo sciopero per il Premio della Repubblica: i salariati dell’agricoltura hanno diritto ad avere 3.000 lire se sposati, 1.500 gli altri. Ai salariati fissi e agli obbligati il Premio doveva essere corrisposto dai datori di lavoro. Fecero di tutto per non pagarlo, ricorrendo perfino alla corruzione. Non ci fu niente da fare: dovettero pagare.
Le donne furono poi protagoniste di altre lotte: anno 1950, per l’introduzione della bilancia automatica (tara fissa), per il riconoscimento della commissione d’azienda, per le dotazioni di stivali e grembiuli, per la modifica dell’orario di lavoro, per l’esclusione dei bambini dal lavoro di raccolta, ecc. ....
Le gelsominaie erano donne combattive, che scioperavano anche in appoggio ad altre categorie, come quella dei coloni. Alcune di loro conobbero la camera di sicurezza.
Quando scendevamo in sciopero, la presenza della forza pubblica era imponente. Quel che ottenevamo noi con le gelsominaie, non riuscirono mai ad ottenere con altre categorie bracciantili i sindacati provinciali, i quali nel 1959 si resero responsabili di una brutta storia, firmando un contratto che assegnava soltanto 10 lire di aumento al Kg.. Saputa la notizia, mi misi in giro per organizzare lo sciopero; l’astensione delle donne fu straordinaria e quel contratto fu stracciato."
(da "Le lotte contadine del primo dopoguerra nella Piana di Milazzo" di Tindaro La Rosa)
"Ai milazzesi è stato distrutto per sempre, verso la fine degli anni Cinquanta, quell’incantevole teatro.....
"Sulla piana dove pascolavano gli armenti del Sole, dove si coltivava il gelsomino, è sorta una vasta e fitta città di silos, di tralicci, di ciminiere che perennemente vomitano fiamme e fumo.....
Ma un giorno le raccoglitrici, per il basso salario, incrociarono le braccia e fecero cadere a terra il gelsomino delicato, che il sole appassì e fece nero ."
(da L’olivo e l’olivastro)
(di V. Maiakovskij)
Il cavallino di fuoco
Il bambino chiede al padre: "Vorrei tanto un bel cavallo, ho deciso che da grande vorrò esser cavaliere. E per questo a cavalcare Voglio adesso incominciare." Anche il babbo si è convinto e decidono di andare un cavallo a comperare. Colmi sono gli scaffali d’ogni soRta di balocchi; nel negozio invece ahimè di cavalli non ce n’è! Cosa dire? Cosa fare? Sí... dal mastro si può andare Che i cavalli sa approntare. Questo mastro pensa e dice: "Qui ci vuole un buon cartone per piantare l’ossatura che va fatta con gran cura!" Tutti e tre in fila indiana Vanno dritti alla cartiera. "Carton fino o carton grosso?" chiede ai tre un omaccione. E dà loro tre bei fogli del miglior cartoncino e la colla da spalmare perché possa ben saldare. Cavalcare: una parola! Non si corre senza ruote. Vi provvede il falegname Con prontezza e precisione. Svelto e alacre in un minuto, taglia, pialla, sega, lima... e le ruote eccole qua. Ora manca la criniera! |
Via di corsa per cercare fra le setole e le spazzole, chi dia loro la maniera di cercar coda e criniera. Ben gentile è l’artigiano che è contento di donare peli e ciuffi in quantità. Che distratti! Che sbadati! Chi ha pensato per i chiodi? "Ecco a te quel che ti serve" dice il fabbro compiacente. Con i chiodi e il cartoncino, con le setole e la colla ben sbiadito è il cavallino. Un pittor dobbiamo trovare! Un pittore ecco è già pronto ben felice di aiutare il cavallo a colorare. Per nessuno c’è più tregua, la giornata è laboriosa col migliore materiale costruito è l’animale. Tutti insieme in gran daffare incollando e ritagliando or preparan zampe e dorso or gli mettono un gran morso. Batti e batti sopra il chiodo, lima e pialla quelle ruote, rosso e giallo usa il pittore e il cavallo è uno splendore. Trotta innanzi, trotta indietro: come è ardente il suo galoppo! Son turchini i grandi occhi, macchie gialle ha sui ginocchi. Con l’incedere marziale, con la sella di gran pregio, con la ricca bardatura, va col bimbo alla ventura. |